Materie prime più rare e care? È ormai partito un “superciclo”

Riuscire a riassumere in poche righe ciò che sta succedendo sui mercati della materie prime è complicato. Senza grandi ambizioni provo a dare qualche spunto in base all’esperienza sul campo e basandomi su pareri di vari associati alla Lugano Commodity Trading Association (LCTA).

In generale, abbiamo capito tutti che i prezzi delle materie prime hanno subito un’impennata quando le economie di tutto il mondo hanno iniziato a riprendersi dalla crisi dovuta al coronavirus. Le cause dell’evoluzione dei prezzi sono molteplici e concatenate. Vediamo più in dettaglio cosa è successo per poi immaginare quale potrà essere l’evoluzione delle commodities nel futuro più prossimo.

Negli scorsi giorni il petrolio ha chiuso ai massimi dal 2014 e il gas naturale ha raggiunto il picco massimo storico, impensabile fino a qualche settimana fa. Una storia a sé che meriterebbe un lungo approfondimento. Anche il carbone – per esempio quello usato per la generazione di elettricità – ha vissuto un incremento pazzesco negli ultimi mesi, dovuto ai prezzi in salita di gas & power, ma anche a causa della crescita della domanda cinese di materie prime energetiche; Cina, peraltro, in rotta di collisione con l’Australia, fornitrice storica di carbone in Cina. In questa repentina fase di ripresa economica, c’è quindi una domanda mondiale crescente di elettricità da parte dell’industria globale (e non solo); stiamo parlando di tutte quelle attività produttive semi-paralizzate durante la fase più acuta della covid19, che negli ultimi mesi sta viaggiando col vento in poppa, sebbene l’ancora si sia incagliata nei ritardi logistici, nei prezzi esagerati dei noli e nella carenza di produzione di materie prime strategiche.

Sul fronte dei metalli, nella ripresa post-pandemia, anche l’acciaio, il rame, i minerali di ferro, ecc. hanno vissuto incrementi importanti di prezzo, addirittura a livelli record per alcuni di questi. Inutile dire che in questo caso i motivi sono molteplici, ma sembra esserci consenso nell’affermare che gli indicatori dei prezzi dei metalli, come la crescita della domanda cinese, sono oramai diventati meno attendibili.

Anche le principali materie prime agricole, tra cui cereali, semi oleosi, zucchero, prodotti lattiero-caseari, caffè, ecc. hanno seguito un andamento in crescita dei prezzi.

Infine, non posso non spendere due parole sulle dinamiche avvenute nel mondo dei trasporti marittini, dove anche i noli sono aumentati a dismisura nella ripresa post-covid a causa dell’impenata della domanda, delle restrizioni dovute alla pandemia (quarantena, ecc.) e della riduzione della capacità di trasporto.

Difficile dire quando i mercati delle materie prime ritroveranno un certo equilibrio, ma mi pare importante sottolineare due punti cardine che emergono in questo contesto. Il primo è che l’aumento dei prezzi delle materie prime sta alimentando pressioni inflazionistiche in tutto il mondo e rischia di rallentare la ripresa economica post-pandemia. Il secondo, come dicevo in un’intervista del 30 giugno 2021 apparsa sul CdT, è che siamo entrati in un cosiddetto “superciclo” economico. A mio modesto parere, vi sono numerosi fattori, non da ultimo la spinta alla decarbonizzazione, che indicano che questo incremento dei prezzi delle commodities non sia un balzo temporaneo verso l’alto dopo una caduta dei mercati, bensì rappresenti un nuovo “superciclo”, dove i prezzi rimarranno sostenuti a livelli elevati per anni.

Articolo apparso su La Domenica, il 10.10.2021

“Il settore delle commodity gioca un ruolo strategico”

Negli scorsi giorni alcune decine di migliaia di container sono rimaste bloccate nei porti cinesi. Com’è ora la situazione e questi problemi, vedi anche il blocco del canale di Suez, rischiano di moltiplicarsi con il tempo?

È in corso una ripresa brusca, un forte rimbalzo dopo la paralisi dovuta al covid. Di colpo tutti vogliono navi, tutte nelle stesse posizioni nei porti di caricazione. Ad un certo punto la situazione si stabilizzerà. Per usare l’immagine di un amico broker navale “è un po’ come cercare un taxi in una metropoli quando arriva un’acquazzone”. Interessante rilevare come il riferimento al blocco del canale di Suez porti ad una riflessione sul gigantismo navale nel settore container. Una tendenza che non accenna a rallentare e che rischia di portare anche a lungo termine problemi come quello occorso nel canale di Suez, ovvero navi con paratie e pile di container (superficie esposta a “effetto vela”) sempre più alte che transitano in un’infrastruttura ancora non adeguata con il rischio di creare colli di bottiglia. Quindi perché non si verifichino questi colli di bottiglia occorrerebbe che le infrastrutture investissero per adeguarsi e stare al passo col gigantismo navale.

Quali sono i maggiori problemi con cui si confronta il settore navale in questo momento?

In questo momento, oltre alla gestione della ripresa economica repentina, direi che il maggior focus degli armatori è la compliance con le regole IMO sulla decarbonizzazione. Regole che saranno effettive dal 2023 e le cui modalità applicative sono ancora in via di definizione. In questo contesto di maggiore sostenibilità recentemente si osserva un numero considerevole di ordini di navi LNG fueled nel segmento delle ore carriers (180-220k dwt)

Qual è l’importanza del settore del commercio di materie prime nella filiera produttiva internazionale?

Sin dalla creazione della Lugano Commodity Trading Association (LCTA) nel 2010, sostengo che i commercianti di materie prime – alla pari delle banche – svolgono un ruolo sistemico fondamentale per il funzionamento dell’economia mondiale. Constato con soddisfazione che l’attuale aumento dei prezzi delle materie prime stia riportando alla ribalta questo ruolo chiave dei cosiddetti commodity traders. Quindi, un ruolo importante non solo in termini di posti di lavoro qualificati (attorno ai 1’500 in Ticino) e di gettito fiscale (maggiore di 70 milioni nel nostro Cantone), ma anche in termini di perno dell’economia globale.

Quali sono le ripercussioni che possono avere sul consumatore finale questi ritardi?

Inevitabilmente per il consumatore ciò porta ad un aumento dei prezzi e a ritardi di fornitura. Sarà importante capire fino a quando e se a breve ci raggiungerà un equilibrio tra domanda e offerta. Tutto ciò perché i ritardi e gli intasamenti nella logistica e nel trasporto si sommano alla domanda repentina di materie prime soprattutto in Cina e negli Stati Uniti a fronte di un’offerta mondiale limitata a causa di un 2020 condizionato dal coronavirus e quindi da un’attività mineraria rallentata e da stoccaggi ridotti.

Che influsso ha questa situazione sul settore del trading internazionale di materie prime? 

Il contesto summenzionato ha portato ad un aumento generalizzato nei prezzi delle materie prime e dei prodotti semilavorati: dai prodotti agricoli, all’energia passando per i metalli industriali. Questa situazione è facilmente spiegabile con una legge essenziale di mercato, ovvero lo squilibrio tra domanda e offerta, come non si vedeva da anni nelle commodities, al punto che molti esperti cominciano a ipotizzare che ci troviamo di fronte ad un cosiddetto “superciclo”.

E quali sono gli effetti sulla piazza di trading ticinese, che, come ricordiamo, occupa un migliaio di persone in questo settore?

A breve termine se pensiamo unicamente ai commercianti di materie prime, rispetto all’inizio della crisi covid, il contesto si è completamente capovolto. Da una situazione in cui i prezzi erano scesi a livelli economicamente insostenibili – addirittura prezzi negativi del petrolio – ci troviamo ora in una situazione di prezzi elevati e domanda crescente. Ciò è positivo per chi lavora nel nostro settore in termini di crescita, di nuove opportunità e di diversificazione del business. Quindi, anche ottime notizie in termini di nuovi posti di lavoro qualificati.

A medio-lungo termine dovremo capire se e dove la domanda reale si assesterà e quanto l’offerta sarà in grado di reagire per coprire il fabbisogno del mercato. Importante sottolineare che nel medio-lungo termine possiamo immaginare che rimarranno tutte le misure di stimolo ed investimento che gli Stati stanno mettendo in atto, in combinazione con tassi d’interesse bassi e con l’onda di investimenti legati alla sostenibilità. Se la combinazione di questi elementi prevarrà, non è escluso che assisteremo ad un “superciclo” delle materie prime.

Lei è attivo nel commercio del gas. Come sta evolvendo questo mercato, e qual è il ruolo del Ticino in questo settore?

Dai minimi dello scorso anno anche il prezzo del gas è decisamente cresciuto. Senza entrare in dettagli troppo tecnici, anche in questo caso i motivi dell’aumento del prezzo sono molteplici e sicuramente riconducibili alla rapida ripresa post-covid. Inoltre, va sottolineato il fatto che questo vettore energetico è il più sostenibile tra i carburanti fossili e per tutti gli operatori nel settore dell’energia – soprattutto per i grandi consumatori – sta diventando una materia prima chiave nell’ottica della riduzione rapida e di transizione delle emissioni di CO2. Alcuni operatori importanti nel settore del gas naturale europeo e mondiale sono nati e cresciuti proprio in Ticino. Detto in altre parole anche il nostro piccolo Cantone svolge un ruolo rilevante nel commercio europeo e mondiale di gas naturale.

Intervista apparsa sul Corriere del Ticino, 1.7.2021

Intervista a Marco Passalia, Segretario Generale Lugano Commodity Trading Association

In che stato di salute si trova il commercio delle materie prime ticinese?

Alcuni stanno bene, alcuni un po’ meno. È stato e continua ad essere un anno complicato per tutti se pensiamo al covid19. Un po’ più tortuoso per i commercianti di materie prime: i traders sono stati colpiti a livello globale, i prestiti covid della Confederazione hanno hanno avuto qualche inghippo nell’applicazione ai commercianti di materie prime, le misure di crisi messe in atto da alcune compagnie assicurative hanno indebolito il mercato e, non da ultimo, le frodi di Singapore non hanno di certo aiutato alla concessione di linee bancarie da parte di quegli istituti storicamente attivi nel commodity trade finance.

La crisi covid ha dunque colpito anche il vostro settore?

Purtroppo sì anche se in maniera eterogenea. Naturalmente in base alla materia prima trattata c’è chi ha subito contraccolpi maggiori, chi ha cercato di prepararsi al peggio seguendo l’evoluzione della crisi sanitaria partita dall’Asia, chi si è trovato impreparato e chi invece è stato toccato solo di striscio. Attualmente, in questa seconda ondata, sono invece tutti toccati dal protrarsi della situazione d’incertezza. D’altra parte, è chiaro a tutti che l’impatto negativo riguarda la maggior parte dei settori socio-economici a livello globale.

Il settore delle materie prime come ha risposto alla crisi covid?

Alcune aziende hanno ottenuto risultati soddisfacenti e stanno investendo in nuovi progetti e in nuove assunzioni. Un segnale positivo ed importante in un momento difficile. Altre aziende, invece, durante la prima ondata hanno potuto dare continuità all’attività beneficiando dello strumento federale del lavoro ridotto oppure facendo capo ai crediti covid garantiti dalla Confederazione. Certo non tutto ha funzionato bene per i commodity traders.

In che senso?

Nell’ambito della concessione di crediti e fideiussioni solidali in seguito al coronavirus (Ordinanza federale) sono emerse alcune perplessità sul trattamento delle società di trading. Secondo la prima Ordinanza del 25 marzo 2020, nel caso delle società di trading il parametro di riferimento per la concessione di un prestito era il fatturato, mentre secondo le direttive dell’Associazione svizzera delle banche il parametro di riferimento era il margine lordo. Ovviamente la differenza d’interpretazione è importante e ciò ha creato non pochi malintesi in un momento delicato per numerose società. Curioso notare che però il criterio di esclusione era il fatturato superiore ai 500 milioni di franchi (non il margine lordo) quando è risaputo che nell’ambito delle materie prime si parla spesso di fatturati miliardari. Insomma, un aiuto a tinte chiaro-scure per il settore.

Ma il settore bancario ha fatto dei passi indietro nel finanziamento del commercio di materie prime?

Evidentemente, in un momento già difficile, non si può dire che siano state d’aiuto le frodi miliardarie sulla piazza di Singapore che hanno travolto le principali banche attive nel commodity trade finance (CTF) come HSBC, ABN AMRO, Société Générale, Natixis, BNP Paribas, ING, ecc. Molte di queste banche sono presenti in Svizzera ed hanno recentemente messo in atto piani di ridimensionamento o di chiusura del CTF. Ne consegue una difficoltà maggiore – soprattutto per le società medie e piccole – a finanziare determinate transazioni oppure anche la necessità di posticipare determinate opportunità di business in attesa di mettere in piedi nuove linee bancarie.

E in Ticino?

Per fortuna in Ticino le banche attive nel commodity trade finance o presenti con un frontdesk (BancaStato, Banca Corner, Banca Zarattini, Credit Suisse e UBS) non sono state toccate dalle frodi e hanno mantenuto le posizioni sebbene l’anno non sia stato brillantissimo. Addirittura alcuni istituti, approfittando della nuova situazione, hanno potuto rafforzarsi in termini di posizionamento sulla clientela ticinese.

Quali sono le sfide per il settore nel futuro più prossimo?

Dico ovvietà se affermo che dovremo innanzitutto riuscire a venir fuori dalla crisi covid senza troppi danni diretti o collaterali. In seguito, il settore dovrà fare il possibile per ottimizzare i costi grazie alla digitalizzazione e alla pianificazione fiscale. Naturalmente, sarà anche importante fare una riflessione più strutturata sulle modalità e le possibilità di finanziamento a livello svizzero e internazionale. Da ultimo e non meno importante, anche i commodity traderssono confrontati con le sfide ambientali che a determinate condizioni potrebbero anche portare reali opportunità di business.

Pubblicato su Ticino Welcome, novembre 2020

Pasticcio di primi passi all’esportazione: la nostra ricetta

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Esportazioni record nel primo semestre del 2017

Il commercio con l’estero continua ad essere il fiore all’occhiello dell’economia elvetica. Ne sono la dimostrazione le statistiche divulgate dall’Amministrazione federale delle dogane relative ai primi sei mesi di quest’anno.

La prima metà del 2017 ha fatto segnare un notevole progresso sia nel campo delle esportazioni (+ 4,4%) sia in quello delle importazioni (+ 4,8%). Mentre le prime toccano un livello record, le importazioni fanno registrare il più alto valore degli ultimi 8 anni. In ambedue le direzioni di traffico i prodotti chimici e farmaceutici hanno contribuito considerevolmente alla crescita globale. La bilancia commerciale chiude con un surplus di 19 miliardi di franchi.

Gli Stati Uniti trascinano i mercati

In esportazione, l’evoluzione positiva è stata segnata nei tre principali mercati. In particolare nell’America del Nord, gli Stati Uniti hanno avuto un balzo del 7% e l’Asia ha progredito del 6%. Le vendite in questo continente hanno registrato 1.3 miliardi di franchi. Con una progressione di un quinto, le cifre d’affari con la Cina hanno raggiunto un nuovo record. Singapore e la Corea del Sud hanno anche marcato una crescita a due cifre mentre il Giappone si è, per così dire, limitato a un +9%. Il Medio Oriente è invece caduto nelle cifre rosse con un -16%. Il continente europeo si è limitato a un +4%, di cui le nazioni più performanti sono state la Germania (+7%), imitata dal Belgio (+9%), seguite da Austria e Italia (+5%).

Pioggia di primati per le esportazioni

Nel primo semestre del 2017 la crescita delle esportazioni è stata registrata per i due terzi dai prodotti chimico-farmaceutici. Questi ultimi hanno infatti segnato un +7% raggiungendo un livello storico. Gli altri settori trainanti dell’export, ovvero quello delle macchine e dell’elettronica, come anche l’orologeria, hanno avuto una stagnazione. Dopo però tre mesi di cifre negative, gli orologi svizzeri sono riusciti a fermare l’emorragia che li attanagliava da mesi.

L’orologeria sembra uscire dalla spirale negativa

Come indica anche la Federazione dell’industria orologiera svizzera (FH) in un comunicato stampa sui dati del primo semestre dell’anno, dopo mesi difficili, il settore si è progressivamente adattato al nuovo contesto nel quale dovrà evolvere. Le conseguenze negative sui mercati hanno in effetti fatto spazio a un re-indirizzamento, che si è già tramutato in una netta ripresa. Se le esportazioni orologiere svizzere non mostrano dappertutto il medesimo dinamismo, globalmente s’iscrivono in una tendenza stabile che mostra la fine di un periodo negativo. Secondo la FH, tale stabilità non sarà però attesa prima della fine dell’anno.

Durante i primi sei mesi del 2017, le esportazioni di orologi si sono attestate a 9.5 miliardi di franchi. Paragonando i risultati dello stesso periodo con l’anno precedente, vi è stata una leggera variazione del +0.1%. La Cina e il Regno Unito sono i Paesi che hanno trainato in positivo le cifre e che hanno giocato un ruolo fondamentale in questa evoluzione.

Sempre secondo la Federazione svizzera dell’orologeria, con un buon secondo trimestre (+3%), l’obiettivo per l’anno 2017 è così già raggiunto. La situazione resta comunque fragile localmente. Gli Stati Uniti non hanno preso parte alle cifre positive e alcuni mercati europei o asiatici sono ancora sotto stretta osservazione. La previsione per il 2017 resta dunque prudente, ma cela un certo ottimismo.

di Monica Zurfluh, responsabile S-GE per la Svizzera italiana

Marco Passalia, vice direttore e responsabile Export Cc-Ti

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